Partendo dalla periferia a Est di Melzo, a Su della ferrovia, tre i percorsi campestri che consentivano il collegamento con Comuni vicini: Pozzuolo, Truccazzano, Albignano e oltre.
Di questi, quello per la Cascina Galanta, lambita ormai dalle acque della nuova cava, attualmente agibile dal sovrappasso sulla TEEM che collega le Cascine Gabbarella e Banfa.
Ma se per la Cascina Galanta il percorso non è stato certamente facilitato, peggiore è stata la sorte di una abitazione esistente da circa 60 anni, distante qualche centinaio di metri dalla Galanta: la casa “rossa”, da 46 anni abitata dalla famiglia Bonetti.
“Spanciamento verso Pozzuolo”: questo il termine per dire che il tracciato autostradale della TEEM veniva modificato, anzichè a Sud della Cascina Gabbarella, troppo a ridosso della periferia, spostato poco più a Est fra la Gabbarella e la Banfa, decretando così la distruzione di questa proprietà.
Per la cronaca, dalle Cascine San Pietro di Cassano d’Adda fino a Melzo,la Cascina Lina e la proprietà Bonetti le uniche “vittime” autostradali.
Andando verso Pozzuolo dalla strada campestre affiancata al lato sud della ferrovia, superato di qualche passo il punto dello scavalco della TEEM sulla MI-VE e osservando verso Nord si intravede a 200/300 mt. aldilà della massicciata ferroviaria il lato Sud della Cascina Grande di Pozzuolo, un agglomerato fino alla metà del secolo scorso abitato da diverse famiglie, ora completamente abbandonato.
Parte integrante della proprietà i non pochi appezzamenti della campagna circostante, a Nord e a Sud della ferrovia come per altre proprietà.
Particolare di non poco conto questa separazione del territorio risalente alla metà dell’ottocento conseguentemente alla costruzione della ferrovia: da Pozzuolo oltre al casello ferroviario e passaggio a livello lungo la strada comunale per Bisentrate, degli altri due esistenti l’ultimo, quasi a confine con il territorio di Melzo, dotato di casello ferroviario con custode, era quallo che consentiva ai contadini della Cascina Grande , ma anche ad altri, l’attraversamento della ferrovia con i carri agricoli.
Fra i due caselli con passaggio a livello, un terzo (solo passaggio a livello) era ubicato indicativamente in dirittura verso il sottopasso alla BBM; la strada sterrata, proveniente dall’abitato di Pozzuolo (Via Garibaldi – Palazzo ex Fumagalli ora sede del Comune) superata la linea ferroviaria si inoltrava in direzione Ovest verso Melzo, terminando nelle vicinanze delle cabine del metano.
Mentre i caselli di Pozzuolo e della Cascina Grande sono stati abbattuti, un esemplare tutt’ora esistente ma non operativo, ovviamente, è quello situato fra Pozzuolo e Trecella (Cascina Villa): la vicinanza con la Cascina fa supporre che anche quì vi era un passaggio a livello.
A Sud della ferrovia, dirimpetto al punto in cui era ubicato, a Nord, il casello ferroviario della Cascina Grande di Pozzuolo, accennata nel precedente punto, un modesto appezzamento di campagna alquanto aquitrinoso con una pozza d’acqua sorgiva a ridosso della massicciata ferroviaria. Una pozza sufficiente comunque a indurre i tecnici di RFI a spostarla di una decina di metri allorquando l’allargamento della massicciata per la posa del 3° e 4° binario ne decretò la sparizione: per la cronaca verso la fine del 2006 e l’inizio del 2007.
RFI tenendo conto della particolarità del territorio ottenne un risultato di gran lunga superiore a ciò che spontaneamente s’era creato nel tempo: uno specchio d’acqua piacevole da osservare, come documentato dalla foto scattata il 12.7.2012 non immaginando che dopo pochi giorni la sorgente sarebbe stata prosciugata e completamente riempita di terriccio.
Sette mesi dopo al posto dello specchio d’acqua sei delle sedici colonne realizzate a sud della ferrovia (e altrettante a Nord); altri sette mesi e lo scavalco della ferrovia era ultimato (settembre 2013).
Il fotomontaggio delle colonne che affiorano dalla sorgente è stato immaginato in contrapposizione alla soluzione inizialmente resa nota la quale, oltre alla distruzione della sorgente, non prevedeva ovviamente la costruzione di 32 colonne in superficie oltre alle 96 in profondità.
L’altalenarsi delle possibili scelte, prima il sottopasso e poi la decisione per lo scavalco alimentarono inevitabili polemiche.
Sotto o sopra: discuterne ora può sembrare superfluo ma avendo sotto gli occhi lo squarcio per baipassare il Naviglio della Martesana e immaginare che sotto la ferrovia avrebbero dovuto passare non due ma tre carreggiate (come per lo scavalco) qualche riflessione si impone: un viadotto che da zero arrivi a 10/12 mt. d’altezza ai nostri occhi può apparire più o meno gradito ma è pur sempre qualcosa che possiamo “toccare con mano”, diversamente da uno sconquasso in un sottosuolo con una falda acquifera di pochi centimetri sotto la superficie.
Quanto alle acque del Naviglio deviate per consentire i lavori fare altrettanto con i quattro binari non avrebbe certamente rallegrato i responsabili del servizio ferroviario ne tanto meno i pendolari.